Ci sono parole che mi ronzano nella testa come zanzare in questo autunno dalle temperature ancora primaverili: mediocrità è una di queste. Al liceo classico mi piaceva molto studiare il latino e il greco, le così dette lingue “antiche”, ma sempre attuali visto che ad esse si ricorre quando si parla di etimologia, disciplina linguistica che mi appassionava a scuola e ancora adesso. Appena un professore o una professoressa la menzionava, interrompevo tutti i miei pensieri distratti e tornavo alla voce narrante (tipo Sauron attirato dall'unico anello per capirci). Fare un viaggio al suo interno ha un non so che di magico: rivela l'origine e l'evoluzione di un nome nel tempo. Tra l'altro dentro questa parola, M-E-D-I-O-C-R-I-T-A', a guardarla da vicino c'è pure la parola "Dio": questo qualcosa vorrà dire, o no? Ho fatto un pò di ricerche aiutata dal dizionario Treccani e ho scoperto che nel sostantivo latino - singolare femminile - “mediocritas-mediocritatis” è contenuto l'aggettivo “mediocris” in origine sinonimo di medio, riferito a cosa che per grandezza, quantità o qualità si trova nel mezzo fra due estremi. Ciò che si posiziona all'estremo normalmente assume una connotazione negativa. “Basti pensare a tutti gli -ismi” diceva la mia professoressa di Storia e Filosofia al liceo. Cosa diversa per ciò che sta nel mezzo: per i latini non c'era altro posto per la virtù. Quindi quel che sta lì tendenzialmente è anche giusto. La parola Dio, infatti, sta in mezzo. Ciò che è giusto ha per transizione un non so che di divino (per quanto mi sforzi non riesco ad associare la giustizia agli esseri umani). Cosa ci dicono i greci a proposito di "mediocrità"? Questa volta ho chiesto consulenza al mio vocabolario di greco Lorenzo Rocci (proprio lui quello dei tempi del liceo!). In greco classico “mediocrità” si dice μετριότητα (da μετριός misurato, moderato, medio, mediocre) tradotto: temperanza, giusta misura, moderazione, equità. A questo punto non potevo non interpellare i mentori per antonomasia: Platone per temperanza intende la capacità di contenere e moderare i piaceri armonizzando la parte inferiore dell'anima con quella superiore. Aristotele, suo maestro, la descrive come la virtù capace di moderare impulsi e appetiti. I latini la considerano anche loro come uno stato intermedio in cui ci si tiene lontani dall'eccesso per un lato e dal difetto dall'altro. Ciò che non mi spiego è come si sia passati ad una connotazione negativa di tutto ciò che è “medio” nell'età contemporanea.
Chissà una delle risposte sia attribuibile alla società della tecnologia e della performance, come la definisce Umberto Galimberti, in cui si concorre per raggiungere l'eccellenza in tutti i campi. In questa società essere “medi” equivale a essere "ordinari" e nella spettacolarizzazione di ogni aspetto della vita, attraverso i social media, essere ordinario è inammissibile. Il prezzo da pagare è troppo alto: l'invisibilità. L'essere additato come ordinario denota, inoltre, una mancanza di eccellenza o di particolarità distintiva che è pari all'"anonimato". Quindi una persona ordinaria, invisibile e anonima, può essere considerata oggi una persona mediocre, senza grandi abilità o talenti. Una vergogna insomma. Nel mio racconto “Il Pesce Palla e la Luna” il protagonista non ha un nome. Un nome racchiude un destino secondo gli antichi: “nomen omen”. Difficile capire quale sia quando la pressione per essere socialmente in un certo modo è così alta.
Sentirsi mediocri
Tra sentirsi ed esserlo però passa una bella differenza. No, perché se credi di essere il solo o la sola a crogiolarti intorno a questo pensiero ti consolo: sei in buona compagnia. Su questo argomento mi sono scervellata a lungo. E per capirci qualcosa ho letto davvero tanti libri tra cui il testo di Paul Watzlawick, noto psicologo statunitense, “Il linguaggio del cambiamento” (il sottotitolo Elementi di comunicazione terapeutica connota già il linguaggio come strumento di psicoterapia). In sintesi le parole curano. Per questo è cosa buona e giusta usare solo le migliori per gli altri e per se stessi. Almeno questo è ciò che mi ripeto da quando ho letto “I quattro accordi” di Miguel Jr Ruiz. Uno di questi recita: “Sii impeccabile con le parole”. Ma torniamo a Paul Watzlawick. Secondo l'autore esiste una realtà oggettiva e una soggettiva - risultato dei nostri costrutti mentali ed esperienziali - la loro sintesi equivale alla visione del mondo posseduta da ciascuno. Ora se siamo fatti per essere diversi già dal pensiero, pretendere di somigliare ad un modello, solo perché riconosciuto di eccellenza (da chi poi?) può voler dire tra le altre cose creare una serialità di invidui programmati per essere tutti uguali. Contravvenendo a una delle leggi più importanti di natura: la diversità come sinonimo di unicità. Il punto è che quando ci si dimentica dell'unicità e si pensa solo alla mediocrità non ci si concentra sul proprio potenziale e automaticamente ci si autosabota, come insegnano le profezie autoavverantisi: il linguaggio è un prodotto del pensiero che crea una realtà. Quindi, come afferma Paul Watzlawick, bisogna pensare e pensarsi in termini positivi. Il fatto è che la mediocrità può diventare un baluardo e quasi una giustificazione per crogliarsi nella condizione liminale a cui la stessa condanna. Quando si è adolescenti essere additati come secchioni bello non è e neppure essere considerati somari. Abitare la sufficienza è rassicurante. Al liceo i professori dicevano ai miei genitori: “può fare di più”. Oggi so che fare del mio meglio in generale vale anche se sto preparando una frittata di verdure o una crostata alla nutella.
C'è da dire che la mediocrità può rappresentare una condizione consapevole di non eccellere per evitare il confronto in alcuni contesti, infatti, permette di essere accettati o addirittura apprezzati, specialmente in quegli ambienti in cui la conformità e l'uniformità sono valorizzate.
Ho osservato questo fenomeno a lungo e ho individuato alcune caratteristiche che a mano a mano mi sono appuntata:
1. Assenza di originalità: la mediocrità si manifesta quando manca l'individualità o l'autenticità nella creazione o nell'espressione di un'idea, nel modo di esprimersi, di vestirsi, di essere. Le persone mediocri tendono a copiare o imitare senza aggiungere nulla di nuovo o innovativo per paura o per comodità.
2. Mancanza di impegno o dedizione: la mediocrità spesso si esprime con un atteggiamento superficiale o disinteressato verso un compito o un obiettivo. Le persone mediocri non mostrano il livello di impegno o determinazione necessario per eccellere o raggiungere risultati significativi. Il che non significa affatto non esserne dotati!
3. Paura del rischio o della sfida: le persone mediocri sono spesso timide o riluttanti ad affrontare nuove sfide o situazioni fuori dalla loro zona di comfort. Preferiscono evitare il rischio o il fallimento piuttosto che cercare opportunità di crescita personale o professionale.
4. Mancanza di passione o ambizione: la mediocrità si trova anche nell'assenza di una forte passione o desiderio di eccellere in una determinata area. Nella condizione di lasciarsi vivere, trasportati dalla corrente (eventi, persone, situazioni).
Avrai notato che mi piacciono le liste: fanno ordine. Una volta annotate tutte queste riflessioni è arrivata la parte più difficile: lavorare su me stessa. L'ossessione per la parola “mediocrità” ha una sua radice: sono stata educata da mio padre a rifuggirla. Abbiamo tutti i nostri mostri, affrontarli, chissà, è la sfida per conseguire la versione di sé più vicina al Sé.
Osservare la mediocrità
Ebbene, sì, osservare la mediocrità richiede sforzo e senso critico: guardarsi dentro attravarso una lente speciale. Questa lente per me è stata la lezione di un altro grande mentore: Socrate “γνῶθι σαυτόν” ("conosci te stesso"), che esortava a farlo già nel 400 a. C con l'iscrizione nel tempio di Delfi a memoria perenne. Umilmente parlando credo non ci sia essere umano che almeno una volta nella vita non sia attraversato da questo pensiero. Sull'argomento ci ho scritto un altro racconto: “Nero, una storia a colori”. Se non hai letto la storia eccoti una breve sinossi. Il pennarello Nero, bistrattato dall'amica Bee senza troppi convenevoli, fugge dalla scatola dei colori con il cuore nero e friabile come il carbone. Un incontro fortuito e significativo lo rimetterà però sulla sua strada aiutandolo anche a recuperare l'amicizia con la piccola Bee. Non so se si guarisce dal senso di mediocrità, scrivere sicuramente mi aiuta a far uscire i mostri e a non tenerli dentro. E quando dico scrivere mi riferisco anche alle note su post-it, rigrosamente colorati, che lascio ovunque. Tipo queste:
1. Sii positiva e proattiva: investo risorse ed energie per la mia crescita personale.
2. Sii innovativa e creativa: sperimento nuove idee e approcci, trovando modi originali di risolvere i problemi o di creare qualcosa di nuovo. Per farlo coltivo la creatività in ogni forma ricordandomi cosa mi piace, cosa mi rende felice, cosa mi fa stare bene.
3. Affronta le sfide con coraggio: abbraccio il rischio e sì, esco ogni volta che posso dalla zona di comfort. Le nuove opportunità (dicono) sono tutte lì.
4. Coltiva le tue passioni e una sana ambizione (lontana da “mors tua vita mea” ): svolgo attività che mi stimolano e soddisfano a livello personale e professionale (faccio sport, cammino, mangio sano, studio, scatto fotografie, scrivo, pratico la gentilezza, la pazienza e l'ascolto in ambito lavorativo e personale (anche se considerate poco cool).
Ognuno ha il suo modo per non arrendersi alla mediocrità. Prima non ero così consapevole di alcuni meccanismi che innescavo automaticamente, oggi lo sono e li analizzo accuratamente, virando nella direzione opposta quando tendo a braccarmi da sola. Ho due grandi amici ad aiutarmi: la tenacia e l'impegno. Ogni tanto, come ogni amico che si rispetti, non si fanno sentire per un pò e metto in discussione l'amicizia, poi tornano e mi ricredo. Molto di ciò che ho imparato me l'hanno insegnato anche i “no”. Quei no, deprecabili, avvilenti, insopportabili, pressandomi a rispondere alla fatidica domanda: quanto sei disposta a dare, a rischiare e a perdere pur di raggiungere il tuo desiderio? Se sei arrivato fin qui, sono sicura starai già pesando la portata del tuo. Non ti dico quante volte ho pesato il mio.
Pensarsi umani
A proposito di quei deprecabili “no”. Qualche mese fa mi trovavo sul bus per andare a Palermo ed ero di cattivissimo umore: tre case editrici negli ultimi due anni si sono defilate dopo aver mostrato un certo interesse per i miei racconti. Mi sentivo delusa e sfiduciata sia nei confronti di me stessa che del settore editoriale. Durante il viaggio ho aperto la App 4Books (dove previo abbonamento annuale puoi leggere e ascoltare tutti i titoli che più ti piacciono riassunti in 15/20 minuti). Ho scelto “Can't hurt me” (il cui sottotitolo mi ha dato lo slancio a cliccare play: "Imparare a spingersi oltre i propri limiti"). Stavo cedendo al pensiero tentatore che fosse la mia mediocrità e quella dei miei scritti a rendere arduo il compito di trovare la casa editrice giusta, quindi avevo bisogno di sentire una storia che mi tirasse fuori da quel buco nero dentro cui mi stavo buttando di testa e ho scelto quella di David Goggins. L'autore attraverso un racconto appassionato in prima persona, ripercorre la sua infanzia traumatica e dolorosa - disseminata di perdite e violenze - , un'adolescenza priva di prospettive - segnata dalla povertà e dalla solitudine - fino al giorno in cui ha trovato dentro di sé la motivazione profonda che lo ha portato a compiere imprese pazzesche. Ti suggerisco di farti un regalo ascoltando o leggendo la sua storia. Sono arrivata a destinazione cambiata nello spirito. Non conosco strade spianate per chi nutre grandi sogni. Perfino il sentiero di mattoni gialli, che Dorothy si trova a percorrere, richiede il superamento di prove e, quasi sempre, gli ostacoli più difficili da sconfiggere sono i mostri che ci abitano dentro (quelli di cui sopra). Se libri, come quello suggerito in questo paragrafo, possono piacerti, eccotene altri:
1. "Il potere di adesso" di Eckart Tolle: un viaggio nella mente e nell"io" più profondo e significativo per trasformare l'intera esistenza nell'"hinc et nunc", in un tempo che è ora senza passato né futuro: il primo non è più il secondo non è ancora. "Ora" è il tempo a nostra disposizione.
2. “I doni dell'imperfezione” di Brené Brown: l'autrice considera doni tutte quelle caratteristiche che fino ad ieri connotavano negativemente l'essere umano: la vulnerabilità, la vergogna attribuendo un peso specifico al coraggio e alla compassione. Vincere, secondo Brenè Brown, vuol dire abbandonare l'idea di dover essere per abbracciare quella di chi si è davvero.
3. “Storie della Buonanotte per bambine ribelli” di Elena Cavilli e Francesca Cavallo: una preziosa raccolta corredata di illustrazioni (ciascuna realizzata da un'artista diversa) per raccontare le storie di alcune donne che con la loro vita sono ad oggi fonte di ispirazione per altre donne.
4. “Tre ciotole” di Michela Murgia: a dare il titolo a questo libro è il contenuto del racconto “Il senso della nausea”. Una raccolta che “rimette a posto tutte le gerarchie tra stomaco e cervello”. Storie da leggersi senza un ordine preciso, ma che se lo si segue acquisiscono un senso altro. Sono un dono questi racconti, (il mio prefe “Cartone animato”). Ma il vero regalo è la sua voce. Per Michela Murgia non c'è differenza tra vivere e scrivere, perfino mentre la sua vita era appesa a un filo lei avvinghiata con tenacia a quel filo ha continuato a scrivere e, facendolo, a vivere.
Costruire la versione migliore di sé non è molto lontano dallo scrivere a pensarci bene. Ci vogliono un sacco di brutte copie prima di arrivare alla bella. E quella versione lì passa per una serie interminabili di bozze. Se nella parola M-E-D-I-O-C-R-I-T-A' la parola Dio è in mezzo, forse è proprio per questo: l'eccellenza si raggiunge nel far le cose giuste e con misura. Ma la parola D-I-O contiene anche il pronome I-O, il che mi porta alla riflessione finale: la tensione verso un'ideale di perfezione divina si concretizza nella capacità di umanizzare l'errore, che per passi intermedi, ci rende competenti, soprattutto umani, e in ultima istanza, saggi.