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Antonella Sugameli

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Barbie: giocare ad essere se stesse

19/08/2023 21:41

Antonella Sugameli

Ispirazioni, Creativita, Storie, Inventare, Barbie, Film,

Barbie: giocare ad essere se stesse

"Barbie" di Greta Gerwing ha rispolverato memorie tinte di rosa. In questo articolo racconto cosa ha rappresentato per me il mondo di Barbie attraverso il film.

Ce ne ho messo di tempo prima di scrivere questo articolo. Il fatto è che credevo fosse più semplice. Ma il filmBarbie” ha acceso in me così tanti spunti che ho dovuto trovare il focus. Ed eccolo: in questo spazio condivido cosa ha rappresentato per me Barbie attraverso brevi accenni al film. E chissà che in questo mio racconto non ti ci riveda pure tu. 

Cosa è stata Barbie per me? Sicuramente un desiderio che ho tardato a realizzare. 

Mio nonno mi ha regalato la prima Barbie Jeans quando avevo otto anni: lunghi capelli frisee e biondissimi, minigonna e giacca in denim arricchita di pizzo rigorosamente rosa. Accessori (impossibile non menzionarli perché il mondo di Barbie ne è ricchissimo): spazzola e scarpette con tacco - neppure a dirlo - rosa pastello. Barbie Super Star e Ken Super Star sono arrivati qualche Natale dopo per sfinimento da parte dei miei genitori, corredati da musicassetta contente il brano di Madonna “Papa don't preach”. Il mio approccio con Barbie è stato dunque pop fin da subito. “Il mondo di Barbie, ricreato dalla regista Greta Gerwing in modo impeccabile, è testimonianza realistica dell'esperienza di ogni bambina con quella bambola”, ha detto Carolina Capria. Come non essere d'accordo? Di Barbie avrei voluto tutto. Sono riuscita ad ottenere alla fine Il giardino d'inverno, l'unica cosa non richiesta, ma che essendo firmata Barbie mi ha conquistata senza troppe difficoltà. Dentro quell'universo rosa, plasticoso e glitterato ho trascorso i migliori pomeriggi dagli otto ai tredici anni. Contestualmente al rosa Barbie ho scoperto anche il rosa Harmony, libri di cui mia madre faceva incetta e grazie ai quali ho compreso la dipendenza dalla lettura. Li leggevo di nascosto e in modo compulsivo: mamma li teneva chiusi in vecchie scatole di scarpe in fondo all'armadio e sopra ci poggiava altra roba. Un giorno mi ha vista mentre ne tenevo uno tra le mani. Mi ha sorriso senza aggiungere altro. E quello è diventato il nostro segreto. Ne ho letti più di cinquanta prima di capire quanto ripetitiva fosse la struttura narrativa: trovati una lei e un lui ci sarebbero stati inevitabilmente tanti brividi lungo la schiena e una storia a lieto fine. Grazie a Barbie e a Ken ho sceneggiato le mie prime storie d'amore. Quante avventure, quante cotte ha vissuto lei per me. E quante ne ha viste quel giardino d'inverno!

Potevo non andare a vedere il film diretto da Greta Gerwig? Assolutamente no. 

 

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Al cinema con Barbie

Quel giorno siamo andati in nove al cinema: tre bambine e un bambino di età compresa tra i sette e i dieci anni, un uomo e quattro donne tra i ventotto e i quarantaquattro anni. Ognuno con il proprio vissuto ma tutti mossi dalla stessa curiosità infantile. Non avevamo alcuna aspettativa. Quando il film è iniziato (noi adulti) ci siamo guardati ad occhi sgranati: consapevoli che quel film sarebbe passato alla storia come “2001: Odissea nello spazio" di Stanley Kubrick (neppure a dirlo citato dalla regista). Al tempo di Barbie le storie ce le raccontavamo dal vivo: ci si riuniva per interi pomeriggi, si faceva merenda insieme, ci si scambiava vestiti e accessori della propria Barbie e ci si vestiva come lei. Oggi c'è Chiara Ferragni. Allora c'era Barbie, biondissima, bellissima che da sola incarnava infinite possibilità di “essere” e ogni bambina per se stessa ne desiderava a volontà. Compresa io. Non so quante identità ho cambiato in quel periodo (e a seguire): da cantante rock a infermiera, da veterinaria a fioraia. Alcune le ho dimenticate. E grazie a lei non ho mai smesso di vedermi potenzialmente infinita e continuamente in fieri. Il fatto che potesse interpretare diversi ruoli e professioni dava a me di riflesso la stessa legittimità. Greta Gerwig ha avuto il grande merito di ricostruire la memoria di quell'esperienza di gioco infantile, diversa per ciascuna, permettendo a tre generazioni di dialogare fra loro: figlie, madri, nonne, perché per una donna la sorellanza, ovvero l'incontro con il simile, è uno degli strumenti di costruzione dell'identità tanto quanto la fuga “dal mondo ordinario” per citare Christopher Vogler e il suo “Viaggio dell'eroe” (da cui prenderà spunto Maureen Murdock per il suo “Viaggio dell'eroina”) e tutti gli sceneggiatori a venire per strutturare narrativamente le loro storie. Sono certa che a subire il fascino di quella bambola fossero non solo le ragazze ma anche i ragazzi, impossibilitati per cultura ad esternarne e condividerne la segreta passione. Ricordo che quando giocavo con Barbie c'erano amici che interpretavano in modo naturale il ruolo di Ken, ma altri non disdegnavano quello di Barbie. Chissà che al cinema non ci fossero anche loro. A Greta Gerwig un altro merito: quello di avere azzerato le differenze di genere portando in sala tutti facendoci ridere, commuovere e riflettere in modo trasversale e fluido. Impossibile ridurre Barbie a un giocattolo. Barbie è un mondo e un'esperienza. Un'esperienza del mondo, ecco cos'è.

A scuola di narrazione con Barbie

La prima Barbie è stata commercializzata da Mattel nel 1959. Nata dalla fantasia di Ruth Handler - moglie di uno dei fondatori della Mattel - il nome si deve alla figlia Barbara, di cui Barbie è il diminuitivo. Ciò che non sapevo è che la bambola si ri fa a Lilli, creazione del fumettista Reinhard Beuthien, nata nel 1953 per il tabloid Bild. Bild Lilli era una giovane procace che si guadagnava da vivere seducendo ricchi pretendenti. Da quelle strisce a fumetti, pensate per un pubblico adulto, nasce il giocattolo. Cosa fa Ruth Handler? Ne compra un paio da portare a casa. Una volta tornata in California inizia a produrre in serie una bambola con quelle fattezze. Il resto è storia. Rispetto all'originale, Barbie presenta uno sguardo meno procace, più dolce (più coerente con l'idea di una femminilità docile a cui le bambine vanno educate), mantenendo però le forme e le caratteristiche che ad oggi le riconosciamo come peculiarità. 

Barbie è stata e continua a essere un simbolo di empowerment femminile: nel suo mondo a ricoprire incarichi di potere sono solo le donne, l'uomo non esiste se non come accessorio. Ken è accessorio senza il quale il gioco può continuare senza difficoltà. La società in cui viviamo funziona al contrario ed è a partire da questa riflessione che prende le mosse il film di Greta Gerwig. Ken, venuto a conoscenza del ruolo posseduto dagli uomini nel mondo reale, si fa carico di portare quella verità nel mondo di Barbie. Il patriarcato arriva ovunque e ovunque arriva distrugge. Se basta una donna a mettere gli uomini gli uni contro gli altri, basta un solo uomo a far delle donne uno schieramento unito. A Barbie Stereotipo il compito di paladina della giustizia: rimettere le care e amate quote rose al loro legittimo posto. Il processo di umanizzazione di Barbie iniziato con un'assurda e ingiustificata idea di morte, si reifica nella comparsa della cellulite e si concretizza, infine, nel processo di sorellanza che vede tutte le Barbie unite per raggiungere lo stesso obiettivo al grido: “nessuno può mettere Barbie in un angolo” scriverebbe Emile Ardolino riprendendo una famosa citazione del suo film cult “Dirty dancing”. Al di là di ciò che è, è ciò che rappresenta a rendere immediato il processo di identificazione con questa bambola: una donna sempre pronta a imparare qualcosa di nuovo e ad affrontare tutte le sfide che la vita le presenta, credendo nelle altre donne e incoraggiandole a perseguire i loro sogni, combattendo per ciò che si ritiene giusto, correndo a prendere amore e felicità senza chiedere il permesso al Ken di turno (facile a dirsi se non fosse che dietro ci sono anni di lotte e conquiste femministe).

Sia la Barbie di Ruth Handler che di Greta Gerwing dimostrano che il vero successo si raggiunge quando si è fedeli a se stesse. Insomma, Barbie ha anticipato nell'idea quanto espresso da Michela Murgia: “Non è vero che il mondo è brutto, dipende da che mondo ti fai”. E quello di Barbie pensato per le bambine di ogni epoca e immaginato dalla Gerwig (come lo abbiamo immaginato noi) è oggettivamente bellissimo.

 

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A scuola di stile (e non solo) con Barbie

Non so tu ma io andavo pazza per ogni sua mise: glam, elegante, rock, classica, punk, casual sempre femminile e alla moda, ispirata a tendenze attuali o a icone di stile del passato. Quando si parla di Barbie, femminile è la parola chiave. Barbie è una bambola pensata per le bambine che giocano a diventare donne. 

A caratterizzare il suo guardaroba, qualsiasi ruolo ricoprisse, c'è sempre quel rosa. A questo proposito mi sembra interessante aprire una piccola parentesi sul significato attribuito a questo colore nel passato. Fino agli anni' 30 era considerato un colore forte deciso, associato alla passionalità perché prossimo al rosso e, pertanto, correlato ai combattenti, agli eroi e ai guerrieri. Il blu, invece, era il colore del cielo e del velo della Madonna e per questo veniva ritenuto il più adatto per vestire le bambine. Ne parla anche Matteo Bussola nel suo libro “Viola e il blu” (Il cui sottotitolo “La libertà di essere i colori che vuoi” ci dice già molto sul contenuto). Barbie cavalca un cambiamento di tendenza epocale: il passaggio in cui il rosa diventa il colore associato alle bambine e il blu ai bambini. Mattel vestendo la sua bambola e colorando il suo mondo di rosa pastello si è fatta portavoce di valori ben precisi e di un cambiamento socio-culturale che nel film ha trovato il suo spazio di esplorazione e di condivisione: Barbie eroina, guerriera, fautrice di femminilità e femminismo. Al di là dei vezzi “camp” di cui ogni frame si pregia, c'è un significato associato agli accessori che segnano i momenti più cruciali del film. Prendiamo le scarpe per esempio. Sono un elemento fondamentale nel guardaroba di Barbie, che ne possiede una collezione vastissima: ballerine, stivali, eleganti, sneakers. Rigorosamente sulle punte! Vediamo le scene più rappresentative in cui le indossa:

1. La scena in cui i piedi si fanno piatti e scopre di sentirsi più comoda con un paio di Birkenstok (il brand dopo il film è stato quotato in Borsa raggiungendo gli 8 miliardi di dollari) che nella posizione innaturale con cui l'abbiamo conosciuta, ovvero con i talloni in su.  

2. La scena in cui indossa un paio di rollerblade in outfit attillato, giallo e fucsia fluo, attirando sguardi voluttuosi e fischi imbarazzanti.

Che il corpo di Barbie fosse sessualizzato anche nella sua versione plasticosa è un fatto (a dispetto delle altre bambole non ha tratti infantili ma molto femminili) e nel film la regista sessualizza volutamente lo sguardo solo quando Barbie si trova nel mondo reale: dove il corpo sperimenta una dimensione erotica assente a Barbieland, terra di donne per le donne, in cui lo sguardo è neutro. Quando giocavo con le mie Barbie non mi rendevo conto di mettere in scena una narrazione maschile con tanto di male gaze, ignara all'epoca di cosa fosse. Nel mio gioco le Barbie si contendevano - eccome - le attenzioni di Ken. E se Ken è un accessorio, non lo è il suo sguardo (in nessuno dei mondi possibili). E questo la Gerwig lo sa bene e ci gioca in modo più consapevole di quanto non facessi io allora. Barbie nelle sue mani diventa, alla luce di tutte le provocazioni che si possono leggere al suo interno, un blockbuster femminista che fa riflettere (e non solo) - attraverso un oggetto ormai di culto - sulla condizione femminile per poi mostrarci come quella cultura sessista si estenda al gioco che della società è uno specchio. Il messaggio che rimane al termine del film è rivolto alle donne di ogni epoca, classe sociale, cultura ed età: riappropriarsi della propria vita e del proprio corpo facendo di entrambi ciò che si desidera (nel rispetto delle proprie convinzioni direbbe mia madre e avendone cura aggiungerebbe mia nonna).

A tale proposito, nell'esperienza con la propria Barbie, qualcuna può raccontare delle volte in cui ha stravolto la sua tagliandole i capelli, colorandole i vestiti o imbrattondole la pelle nei modi più disparati, con risultati non sempre apprezzabili. Barbie Stramba è un'intuizione geniale di Greta Gerwig che rappresenta la libertà di poter usare un corpo non proprio come se lo fosse, facendone ciò che nella realtà è consentito fare solo a partire dai 18 anni (alle ragazze perlomeno). Tanto il successo che Mattel ha annunciato via Instagram la produzione di questo mentore fuori dal comune: sul sito dell'azienda Barbie Stramba è in preordine fino al 18 agosto. Lasciando stare me che alle mie Barbie non ho mai torto un capello (come si evince dalle foto. Ebbene sì sono le mie) so che qualcuna non ha resistito alla tentazione di imbruttirle perché, diciamocelo, tanta perfezione è innaturale come quella di Margot Robbie nel ruolo di Barbie Stereotipo (eppure come si fa a non amarla?).

In Barbie tutto è un atto di denuncia sociale, un gesto politico, un messaggio rivoluzionario. Possiamo ancora soffermarci sul rosa senza considerare tutto il resto?

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A scuola di vita con Barbie

Grazie a Barbie ho imparato la sessualità (alzi la mano chi almeno una volta non le abbia tolto i vestiti emulando scene d'amore viste in tv?), la condivisione, la creatività, la lealtà, la libertà di essere. L'insegnamento di Barbie - in una visione quanto più generalizzata - ha riguardato temi quali l'autonomia, la fiducia in se stessi e l'empowerment. Barbie ha ispirato, ispira e ispirerà (grazie anche al film) bambine di tutto il mondo a sognare in grande, a credere nel proprio potenziale e a perseguire i propri obiettivi.

Attraverso le diverse professioni di cui Barbie si è fatta portavoce, ciascuna di noi ha esplorato una vasta gamma di possibilità e carriere, incoraggiate a immaginarsi in ruoli di successo, credendo davvero di poter ottenere tutto ciò che si proponeva. È stato davvero così? Non sempre chissà, ma ciò di cui si ha bisogno da bambini sono i modelli e quei modelli plasmano la visione del futuro, senza si è privi non solo di futuro, ma soprattutto di immaginazione. E Barbie un modello lo è stata.

La lezione, che ha condiviso con chi ne ha testato la geniale lungimiranza, concerne valori più attuali come l'inclusione e l'accetazione della diversità, di cui già nel 1997 si è fatta rappresentante, quando Mattel ha lanciato Share a Smile Becky, la prima bambola della linea Barbie con una sedia a rotelle. Ad aprile di quest'anno l'azienda statunitense ha presentato la Barbie con sindrome di Down poco prima dell'uscita del film. Nel corso degli anni le Barbie hanno rappresentato diverse etnie e culture, caratterizzate da altrettanti sfondi socio-economici, lo scopo è stato sempre quello di comprendere l'importanza dell'unicità e dell'equità, attraverso il gioco visto come strumento di sperimentazione del mondo reale entro confini noti, all'interno dei quali ogni bambino e ogni bambina può essere protagonista del proprio percorso di senso, attribuendo valore ad ogni esperienza e trovando soddisfazione nel processo stesso di apprendimento, che incoraggia a essere creativi e intraprendenti per trasformare positivamente le proprie conoscenze. Se c'è una cosa che Mattel ha saputo sempre fare è cavalcare l'onda del cambiamento facendosene carico. Non stupisce che il film abbia avuto tanto successo e che Greta Gerwig sia la regista ad avere raggiunto il più alto incasso nella storia di un live-action.

A quella bambola, per concludere, devo l'arte dell'esplorazione e della narrazione, della fantasia e della possibilità. Credo che dal rosa - Harmony e Barbie - abbia avuto inizio la mia passione per i racconti, ma allora non sapevo dove mi avrebbe condotta. A scrivere questo articolo, chissà.

Se potessi concedermi il lusso di giocare con Barbie adesso, in quel suo mondo plasticoso, glitterato e fantastico ci sarebbe un mucchio di bella gente: una Queer Barbie Family a popolare quel mitico e ormai polveroso giardino d'inverno.

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